
Colture protette: la tecnica della solarizzazione
Uno dei possibili mezzi per limitare la comparsa di erbe infestanti e per controllare i nematodi
Premessa
Nei terreni sottoposti ad agricoltura intensiva la ripetuta coltivazione con la stessa specie di pianta (monocoltura) o con piante appartenenti alla stessa famiglia ha determinato una proliferazione di agenti di malattia e, quindi, una riduzione delle rese e della qualità. E’ questo un fenomeno particolarmente accentuato nelle colture orticole protette, in particolare i patogeni fungini, i nematodi e le erbe infestanti sono responsabili dei principali decrementi produttivi.
Per contenere i danni provocati dai patogeni ipogei si può intervenire con mezzi chimici (1,3 Dicloropropene, Metham sodio o potassio) mezzi fisici (Solarizzazione), mezzi agronomici (Innesto erbaceo, Rotazioni), (impiego di specie antagoniste)
Cenni storici
La nascita della solarizzazione quale nuova tecnica fitoiatrica risale al 1976 quando venne pubblicata su Phitopathology la possibilità di impiego dell’energia solare attraverso plastiche pacciamanti per il contenimento degli agenti patogeni del suolo. Fino ad allora l’energia solare in agricoltura era unicamente applicata esponendo al sole le zolle emerse dai terreni appena dissodati. All’inizio la solarizzazione venne indicata come un metodo in grado di contenere alcuni patogeni delle piante. Successivamente numerose ricerche misero in luce come la ‘pacciamatura riscaldante del terreno‘ organizzata in una precisa tecnica fosse in grado di limitare anche la comparsa di erbe infestanti e di agire verso i nematodi.
In cosa consiste
La solarizzazione consiste nel sottoporre il terreno, opportunamente lavorato, bagnato e pacciamato con film plastico trasparente, all’azione benefica della radiazione solare per un cospicuo numero di giorni nella stagione calda. L’innalzamento termico nel terreno dovuto all”effetto serra’ è responsabile di una serie di fenomeni positivi per le coltivazioni successive.
La solarizzazione è un’agrotecnica economica e di facile esecuzione. La riuscita del trattamento dipende oltre che dalle temperature raggiunte dal terreno anche dall’attenta esecuzione di tutte le fasi che lo compongono.
La preparazione del terreno consiste nella lavorazione dei primi 30 cm di profondità del suolo, alla quale deve seguire la sistemazione del fondo come se si dovesse già provvedere alla semina o trapianto della coltura. Il terreno deve essere contemporaneamente irrigato abbondantemente per consentire la trasmissione del calore dagli strati più superficiali a quelli più profondi e per stimolare le attività vitali di organi di resistenza di funghi, parassiti animali e semi di piante infestanti, rendendoli così più vulnerabili. Dopo l’intervento irriguo e la lavorazione il terreno va subito coperto con film plastico trasparente da 0,03 a 0,05 mm di spessore, cercando di far aderire quanto più possibile il film al terreno ed interrando i bordi con cura, specialmente quando si opera in pieno campo.
Per ottenere risultati apprezzabili la copertura deve essere tenuta per almeno 35-40 giorni nella stagione di massima insolazione (fine giugno – prima metà di agosto). E’ stato dimostrato che la solarizzazione è efficace se la temperatura supera per un periodo di tempo sufficientemente lungo il valore di 37-40°C, generalmente riconosciuto come soglia termica minima per una significativa riduzione del carico dei microrganismi dannosi.
Come si solarizza il terreno
1. Bagnatura del terreno fino alla capacità di campo (acqua che tende a ristagnare)
2. Copertura terreno con film plastico trasparente (da 0,03 a 0,05 mm) bloccato sui margini
3. Chiusura aperture serra da regolare in funzione delle temperature interne
4. Durata del trattamento in funzione del tempo disponibile in azienda. Varia da 30 a 60 giorni
5. Rimozione telo plastico
6. Ridurre gli apporti azotati iniziali sulla prima coltura effettuata in virtù della liberazione di N nitrico a seguito del trattamento
La solarizzazione non può essere considerata alla stregua di un mero trattamento chimico e quindi va effettuata in sinergia con altre buone pratiche agricole. Il terreno è infatti un ecosistema vivente e un ruolo centrale nel mantenimento degli equilibri tra le componenti biotiche è svolto dall’humus.
L’impiego di particolari organo minerali i giroscopici applicati direttamente sulla manichetta prima del trapianto, dopo la solarizzazione consente di apportare popolazioni microbiche selezionate e favorire un riequilibrio dell’ecosistema tellurico.
Il prolungato superamento di temperature oltre i 37°C determina la mortalità e/o l’indebolimento di molti parassiti tellurici nonché di semi di molte erbe infestanti.
Tali effetti dovrebbero riguardare uno strato di terreno fino a 30 cm di profondità e ciò avviene in funzione della somma di ore utili. Relativamente a quest’ultimo aspetto, oltre alla durata del trattamento, rivestono un’importanza fondamentale i materiali plastici utilizzati per la solarizzazione, che devono essere scelti in modo da essere sufficientemente resistenti (per non avere aperture di plastica durante i trattamenti) e da presentare caratteristiche radiometriche tali da rendere massima la quantità di radiazione solare che li attraversa minimizzando le perdite radiative nel range dell’infrarosso lungo.
Il trattamento non provoca ‘vuoto biologico’, favorisce la sopravvivenza di batteri PGPR, funghi e attinomiceti antagonisti, etc.
I punti critici
Allo stato attuale le principali motivazioni della mancata diffusione di questa tecnica sono:
- la durata (circa 45 giorni); spesso è considerata una causa ostativa per fare solarizzazione; in coltura protetta con gli elevati costi di investimento l’imprenditore cerca di avere un tempo di inattività quanto più breve possibile, ed attualmente diversi mezzi chimici consentiti (ad es. il metam sodio) sono caratterizzati da rapidità di esecuzione (senza la necessità di doversi rivolgere a ditte specializzate), bassi residui (se non proprio nulli) sulle colture e costi sostenibili.
- Minore efficacia in pieno campo
- Efficacia legata all’andamento climatico
- Possibili danni alle strutture interne, in particolar modo all’impianto di irrigazione (facilmente risolvibile)
I punti a favore
- Approccio integrato al terreno considerato come un ‘ecosistema complesso
- Integrabile con altri prodotti
- Buona efficacia
- Tecnica utilissima in orticoltura in coltura protetta nel caso di aziende biologiche
- Economica
- A ridotto impatto ambientale
Conclusioni
L‘efficacia del trattamento di solarizzazione è connessa a vari fattori; i principali sono: la localizzazione geografica dell’area e l’ambiente di applicazione (serra o pieno campo), le caratteristiche chimico-fisiche del materiale plastico utilizzato, la possibilità di combinazione con altri mezzi di lotta, la durata del trattamento e la probabilità di raggiungere e mantenere, il più a lungo possibile nel terreno, livelli termici considerati indispensabili per il contenimento dei patogeni tellurici e delle erbe infestanti.
L’efficacia di breve e medio periodo di tecniche di sterilizzazione chimica dei terreni con fumiganti quali metam-sodium, 1,3 dicloropropene, può essere allungata lavorando in sinergia con la solarizzazione.
In un contesto politico e sociale nel quale vi sono sempre maggiori spinte dalla Comunità Europea, con la progressiva revoca delle sostanze attive comunemente utilizzate come fumiganti, e dalla GDO con la richiesta di un prodotto sempre più ecosostenibile, la solarizzazione si ripropone con attualità come una tecnica capace di assicurare risultati economicamente validi agli imprenditori agricoli nella difficile ‘battaglia produttiva’ che si combatte in campagna.